L’inflazione, ovvero l’aumento dei prezzi e dei beni, è tornata in tutte le economie sviluppate, dopo che per decenni era rimasta ai minimi storici.
Di solito, un aumento moderato dell’inflazione non è un problema, anzi, è ben accolto dai governi perché indica che l’economia è in buona salute e la domanda di beni e servizi è forte. Quando, però, l’inflazione cresce troppo si presenta un grave problema per le economie perché il costo della vita aumenta eccessivamente, i salari non riescono a tenere il passo e la popolazione si impoverisce.
Davanti a questo ritorno, tra gli economisti e le istituzioni c’è un dibattito piuttosto acceso: c’è disaccordo sulla durata e su quali misure adottare per contrastarlo, senza rischiare di penalizzare la ripresa economica.
Ma perché è tornata l’inflazione? Questa è una delle questioni più dibattute tra gli economisti di oggi, divisi tra due teorie concorrenti.
La prima sostiene che gli enormi stimoli economici e monetari concessi dai governi e dalle banche centrali nella prima fase della pandemia abbiano “surriscaldato l’economia”. Se in circolazione c’è più denaro di quello che l’economia può assorbire, i prezzi aumentano perché consumatori e imprese finiscono per contendersi beni e servizi. L’altra teoria ritiene invece che il ritorno dell’inflazione sia dovuto non tanto a scelte di politica economica, quanto ad alcuni fattori esterni, in particolar modo la crisi dei commerci mondiali, che sta rallentando la produzione e il trasporto di beni in tutto il mondo, e la crisi energetica, che sta facendo aumentare il prezzo dell’energia.
La Fipe – Confcommercio ha già messo in guardia da un possibile aumento di listini e menu perché, purtroppo, dal rischio rincari non saranno esclusi nemmeno bar e ristoranti. Dopo aver interrogato a tal proposito i gestori dei pubblici servizi italiani è emerso che oltre 9 imprenditori su 10 lamentano un incremento dei prezzi delle materie prime, in particolare su prodotti ittici, frutta, carni e ortaggi. L’aumento medio dei soli prodotti alimentari è del 10% ma il 36.4% degli intervistati registra incrementi superiori. L’inflazione è in costante crescita e non risparmia la ristorazione, facendo schizzare i prezzi delle materie prime alle stelle.
La crescita dell’inflazione è quindi un campanello d’allarme per governi e banche centrali perché, a parità di stipendi, un rialzo dei prezzi si traduce in una perdita di potere di acquisto: si paga di più per acquistare le stesse cose.
La pressione per il rialzo degli stipendi cresce, dal momento che i lavoratori devono restare al passo con l’aumento dei prezzi. Ma è lo stesso rialzo degli stipendi a fornire nuovo carburante all’inflazione, visto che le aziende possono decidere di scaricare sul costo dei beni prodotti l’aumento delle spese determinato dalla crescita dei salari. Un gatto che si morde la coda e che innesca una dinamica molto pericolosa per l’economia globale.