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IL “COPERTO” E IL “SERVIZIO” AL RISTOSTANTE E AL BAR

C’è una voce del conto che proprio non va proprio giù a molti consumatori, soprattutto se turisti stranieri, poiché ritenuta antiquata e fuori luogo: si tratta di quella relativa al “coperto” o al “servizio” che molti ristoranti e locali applicano sulla consumazione. 

Questa estate in particolare, con l’inflazione in aumento e i prezzi dei servizi schizzati alle stelle, i consumatori pretendono maggiore chiarezza sui costi di ciò che acquistano, si tratti di un bene o di un servizio. 

E’ notizia di pochi giorni fa di bar del Lago di Como che ha addebitato ad una turista ben due euro per il “taglio del toast” a metà; la voce, così apparsa sullo scontrino, ha destato parecchio sconcerto ed indignazione.  

Il gestore si è però giustificato precisando che si è trattata di una richiesta extra il cui costo era precisato nel menù; tutto lecito, quindi, per quanto ingiustificato potesse apparire agli occhi della cliente. 

Ma vediamo più nel dettaglio cosa sono queste voci extra nel conto: la spesa per il cd. “coperto” si riferisce a quello spazio occupato nell’apparecchiatura della tavola dagli oggetti di cui viene dotato il commensale che comprende stoviglie, posate, bicchieri, tovaglioli, nonché la tovaglia che ricopre il tavolo.

Un’usanza nata nel Medioevo quando molti avventori approfittavano delle locande, in particolare nelle giornate fredde, per sedersi a consumare il proprio cibo e non quello dell’osteria; da qui la prassi di far pagare il servizio per il posto al “coperto” e per l’uso di posate e piatto.

Da non confondere il coperto con il “servizio”, che varia dal 15 al 20% del totale e trae origine dal passato quando non c’erano i contratti di lavoro e il personale veniva pagato a percentuale sulle ordinazioni dei clienti e dei tavoli che serviva. All’epoca, il servizio era, appunto, la retribuzione dei camerieri.

In molti hanno dibattuto sulla legittimità o meno della pratica di far pagare il coperto o/e il servizio, prassi assente in molti altri paesi, anche europei, e difficilmente comprensibile dai turisti in visita nelle nostre città.

Il problema è che, pur trattandosi di un addebito che può sembrare pretestuoso, nessuna norma lo vieta, a patto che sia specificato nel listino prezzi; la legge italiana (art. 180 TULPS, regio decreto n. 635/1940) impone ai pubblici esercenti di esporre nel locale dell’esercizio, in luogo ben visibile al pubblico, la licenza, l’autorizzazione e la tariffa dei prezzi. 

La questione dovrebbe essere regolarizzata a livello locale, dalle Regioni o dalle amministrazioni comunali: alcune se ne sono occupate, altre no.

A Roma, ad esempio, un’ordinanza del sindaco del 1995 vietava di imporre la voce relativa al “coperto”, mentre consentiva quelle relative al “pane” e al “servizio”; in Veneto non si è mai discusso di tale problematica e non vi è mai stato l’interessamento, né del Consiglio regionale, né di alcun Comune. 

Sarebbe, dunque, auspicabile una normativa nazionale che facesse chiarezza sulle voci di spesa a carico del consumatore finale; fino ad allora, e salvo normative locali sul punto, nulla si potrà obiettare circa la presenza del “coperto” o “servizio” nel menù, eccetto il caso in cui siano presenti eventuali illeciti che andranno segnalati alle competenti autorità.

 

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