Nel campo troneggiano cinque alberi di pero in tutto, a una distanza minima di una decina di metri dall’altro, così non si fanno ombra e l’aria è libera di circolare. I primi rami delle piante, molto più alte di un albero da frutto
“standard”, sono ben lontani da terra, dove, spesso, si annidano malattie fungine e parassiti.
Sono lì da oltre un secolo, qualcuno da 150 anni, quando i trattamenti non si facevano perché semplicemente non esistevano. Piante selezionate per resistere, non ammalarsi, durare e dare frutta, da raccogliere un mese prima della
maturazione completa, altrimenti l’albero “la lascia cadere”. E poi da conservare in cassette per un mese, fuori da celle e frigoriferi, prima di portarle a tavola. Un’agricoltura naturalmente sostenibile, poco o per nulla energivora, così da secoli per necessità, prima, ora per consapevolezza.
Siamo in Lessinia occidentale, località MarDioi, su cui veglia a monte il bianco campanile di Cerna e, a valle, si incunea scura la Valsorda. Le piante secolari le cura Bibbiana Righetti, con cui abbiamo già avuto modo di parlare, perché il loro frutto è il Pero Misso, presidio Slow Food grazie all’impegno di molti, da Bibbiana stessa all’associazione Antica Terra Gentile, passando per l’ex istituto sperimentale di frutticoltura di San Floriano.
Siamo saliti per un’altra ragione, per capire cosa motivi Bibbiana a continuare, quasi in solitaria, quest’impresa personale e di azienda. I clienti non mancano: le sue pere finiscono soprattutto alla ristorazione: a Verona, Milano e anche su tavole imbandite sulle calli di Venezia. Ma, per lo meno dal punto di vista economico, il gioco non varrebbe la candela: per raccoglierle serve la piattaforma, tantissime ore di lavoro e fatica tra settembre e ottobre, con la bilancia di ricavi e costi che pende pericolosamente verso quest’ultimi.
“Oltre alla sostenibilità c’è una biodiversità da preservare”, afferma. Quella di Bibbiana non è una posizione ideologica, ma pratica, legata a quanto si abbia da perdere con la scomparsa di varietà antiche. “Il Pero Misso,
come il Pero Ranso o il Trentosso, ad esempio, offrono un’esplosione di sapori inaspettati e dimenticati. Lasciar scomparire queste varietà equivale a perdere un patrimonio di memoria e gusto”.
Bibbiana ricorda che “limitarsi alle venti varietà di frutta e verdura più consumate equivale a dipingere con una tavolozza di soli venti colori, quando in realtà potremmo averne a centinaia”. L’hanno capito gli chef, che queste
varietà le cercano per proporre piatti con sensazioni organolettiche talmente antiche da risultare, ai più, del tutto nuove. Se non reddito, all’azienda Domenico e Stefano Fasoli, rispettivamente marito e figlio di Bibbiana, questa cura della memoria agricola ha portato stima, rispetto e autorevolezza.
Oltre al Pero Misso, tra MarDioi e via Maso a Cerna di Sant’Anna d’Alfaedo, producono e coltivano mele, ciliegie, prugne, ortaggi, confetture e sciroppi.