Sono passati due anni da quando nel 2021, un gruppo di docenti universitari, guidati dal professor Massimo Montanari, emerito di Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna, ha promosso la candidatura della “Cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturali” nella Lista rappresentativa dell’UNESCO.
La palla poi è passata al Governo che ha accolto l’iniziativa e su proposta dei ministri dell’Agricoltura e sovranità alimentare Francesco Lollobrigida e della Cultura Gennaro Sangiuliano, ha inserito fra le candidature del 2023 la pratica relativa alla cucina italiana come rappresentativa dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità dell’Unesco. Adesso bisognerà aspettare almeno fino al 2025 perché il dossier venga valutato dalla commissione preposta.
Ma c’è già chi festeggia. E come dargli torto? La cucina di casa italiana rappresenta infatti un insieme di pratiche sociali, riti e gestualità lunghi secoli e noi Italiani ben sappiamo quanto un pasto sia un importante momento di condivisione. In Italia cucinare è un modo di prendersi cura degli altri, dovunque ci sia qualcosa di buono da mangiare è casa.
Ma la cucina italiana è molto di più, è un puzzle composto dai sapori dei diversi territori, dalle ricette trasmesse di padre in figlio e dalla capacità di saper innovare anche la tradizione. Cucinare, e ancora prima decidere cosa mangiare, spesso si trasforma in un momento di dibattito, è un rito collettivo nel quale tutti vogliono dire la loro.
E poi scegliere gli ingredienti, confrontarsi magari con chi li vende, fa parte di un retroterra culturale a cui siamo ancora, per fortuna, molto legati. Anche il gesto di apparecchiare la tavola, ordinare l’uscita degli antipasti, dei primi, dei secondi e poi del dolce fa parte di quelle abitudini con le quali siamo cresciuti fin da bambini.
E in cucina nulla si spreca, dato che ogni avanzo si trasforma in una ricetta ‘svuota-frigo’, una forma di una sostenibilità ante litteram. Insomma, chi parte bene è già a metà dell’opera, adesso non vediamo l’ora di diffondere questa cultura in tutto il mondo, chissà che non sia l’occasione per sfatare qualche falso mito e riportare un po’ di ordine anche all’estero.